Mio padre faceva un lavoro impegnativo e di responsabilità.

Libero professionista, arrivava tardi dal lavoro e molto spesso passava il weekend in ufficio, tra carte, timbri, atti, rompicapi.

Amava me e i miei fratelli profondamente, ma aveva un modo molto particolare e tutto suo di dimostrarlo, fatto di sguardi, di prese in giro, di maldestre carezze e richieste di affetto.

Credo che a volte si sentisse un alieno in mezzo a questi figli chiassosi, così diversi tra loro, ma soprattutto diversi da lui.

Da bambina il momento di vicinanza più profonda che condividevo con lui era prima di andare a dormire: mi era concesso infilarmi nel lettone, prendevamo un libro illustrato, quasi sempre di Richard Scarry, e me lo leggeva. C’era Ciccio Pasticcio, il Pompiere Manichetta, il gatto Sandrino. Ne avevamo diversi, accumulati negli anni già dai miei fratelli. Ce n’era uno che reinterpretava le fiabe: Riccioli d’Oro era una gattina che entrava in casa di una famiglia di orsi e rubava la colazione all’orsacchiotto; i musicanti di Brema erano una scimmia, una volpe e un altro animale che non ricordo. Ma poi c’era Zigo Zago, il mio personaggio preferito di sempre.

Mio padre leggeva e leggeva, interpretava le voci, mi spiegava tutto. Finita la lettura, rigorosamente dovevo tornare nel mio letto (grazie mamma!).

Ho iniziato a essere sempre più curiosa: un giorno di seconda elementare mio padre è tornato a casa con un libro per me, ma un vero libro pieno di testo, non di quelli dei bambini. Si intitolava Storia di un gatto ed era edito da Salani, nella collana Nostalgia.

Ho letto e riletto quel libro mille volte: ambientato a Firenze nell’Ottocento, raccontava le peripezie di un gattino di nome Mumù e della sua padrona, l’eccentrica Contessa Iolanda.

Da quel giorno non ho smesso più: è stata la volta di Roald Dahl, poi di Christine Nöstlinger, Bianca Pitzorno, Silvana Gandolfi: ogni volta che si partiva per le vacanze i miei genitori si dovevano trascinare un borsone pieno di libri (già letti) che mi dovevo assolutamente portare dietro in caso mi fosse venuta voglia di rileggerli.

La cosa più bella era quando alle medie e al liceo potevo tirare avanti fino a notte fonda a leggere, durante i week end e le vacanze estive. Nessun rumore, tutta la casa al buio: solo la luce sopra al mio letto e una storia a farmi compagnia.

Per ricevere dei libri nuovi il rituale era sempre lo stesso: accerchiare mio padre la sera di ritorno dal lavoro; andare a dargli un bacio; richiedere dei soldi (“per favore, mi daresti 20.000 lire?”); ricevere risposta negativa (“voi figli mi avete preso per un bancomat!”); dire “ma è per dei libri”; ricevere infine il doppio della somma richiesta 😉

Quando all’università ho deciso di studiare Lettere, l’unico che si è stupito è stato proprio mio padre: “perché non fai delle facoltà normali come Giurisprudenza o Economia?”, mi ha chiesto, preoccupato. Perché, papà? Perché tra le cose fondamentali della mia persona ci sono sempre stati i libri, e sei proprio stato tu a trasmettermi la passione che ha poi condizionato tutta la mia vita, da quel giorno in cui ho ricevuto in regalo Storia di un gatto.

E quindi grazie, per avermi donato un rifugio sicuro in cui poter tornare ogni volta che voglio; nuovo ossigeno ogni volta che mi sento affaticata e benzina per una testa che è sempre in movimento, e spesso non riesce a darsi pace.

 

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