Chi mi legge da un po’ l’avrà capito, ormai: di base ho un animo malinconico, nostalgico, di chissà cosa o quando. Ho questa tendenza a ripensare alle cose del passato struggendomi nella sensazione che non torneranno più: non che sia un atteggiamento positivo che mi rende la vita facile, ma così è, ed è bene accettarlo, no? 😊
Tutto questo per dire che, quando vengo approcciata da libri che parlano dell’adolescenza e degli anni dell’università, sento come una calamita che mi attira a loro. Sì, dico “approcciata” perché molto spesso ho la sensazione che siano i libri ad avvicinarsi a me per essere letti, come se mi scegliessero loro. Chiamate la neuro, sì.
Anche questa volta il corso delle cose è stato lo stesso: vedo L’idiota ovunque e mi faccio attrarre dalla quarta di copertina: 18 anni, università, scoperta del mondo. Din din din, bingo!
Selin è nata nel New Jersey da genitori turchi e si è appena iscritta all’università di Harvard. Procede un po’ a tentoni in questa nuova vita, tra coinquiline, scelta dei corsi, attività extra curricolari e nuovi amici. Si iscrive subito a un corso di lingua russa, e lì conosce le due persone che diventano più importanti per lei: Svetlana e Ivan. Con Svetlana instaura subito una sincera amicizia basata sulla complicità e comprensione reciproca.
Con Ivan, senza nemmeno sapere bene perché, incomincia un rapporto epistolare via email (sono gli anni ’90 e la posta elettronica è una grande novità). Ivan è uno studente ungherese di matematica. È più grande di Selin, per molto tempo le scrive lunghe mail parlando dei massimi sistemi e di letteratura. La conversazione va avanti: Selin studia linguistica e glottologia e condisce le sue mail con riferimenti ai suoi studi, fino a quando un giorno confessa a Ivan di essersi innamorata di lui. I due iniziano a frequentarsi dal vivo, tra telefonate, tira e molla e incomprensioni varie: Ivan ha una fidanzata e vuole che sia chiaro che lui e Selin sono solo amici.
A questo punto Selin, del tutto “succube” del fascino di questo ragazzo più grande, su suo suggerimento acconsente a partecipare a un programma estivo di insegnamento dell’inglese nelle campagne ungheresi, insieme ad altri studenti.
Questa la trama, a grandi linee: per quanto nel libro ci siano brani più che godibili, relativi alla vita universitaria, al modo di vivere e sentire le emozioni quando si hanno 18 anni (e chi se li dimentica) e anche degli spunti interessanti relativi alla parte ambientata in Ungheria, questo romanzo a parer mio manca di qualcosa, ma non riesco bene a individuare cosa. Forse si dilunga troppo? Forse apre troppe digressioni sulle materie di studio di Selin e di Ivan (anche se io, da ex studentessa di Lettere con una grande passione per la linguistica, ho goduto a leggere in un romanzo riferimenti alla teoria di Sapir Whorf, avevo gli occhi a cuore). Ho amato Selin, complici anche le tante somiglianze con G., una mia amata compagna di università che purtroppo non sento più da anni. Ho amato Selin perché mi ci sono ritrovata: anche io quando avevo 17-18-19 anni ero bravissima ad invaghirmi sempre di persone irraggiungibili, intellettuali, che mi facevano sempre pensare che alla fine saremmo stati insieme coronando un meraviglioso sogno d’amore, e invece niente, ero solo un’idiota.
Forse è proprio questo il senso della sospensione del romanzo? Il racconto di come le cose vanno in un modo, ci fanno stare male, e non è detto che si risolvano come vogliamo noi. Ho iniziato a scrivere questa recensione pensando che il libro non mi aveva colpito più di tanto, ma via via invece ho capito che il senso è proprio quello: far uscire fuori esattamente come ci si sente a quell’età, quando ci si innamora sempre della persona sbagliata, che a volte ci fa sentire proprio degli idioti.